28 maggio 2009

Il ribelle: B

B. Buddismo: la vita, ogni vita, è comunque penosa, perché anche quella apparentemente più felice non può non soffrire l'angoscia della sua fine. Bisogna quindi spezzare la catena vita-morte-vita per arrivare a non rinascere più.
Bullshit: la storia delle «armi di distruzione di massa» di Saddam Hussein, da cui gli americani presero l'avvio e il pretesto per attaccare l'Iraq, oltre che vergognosa è grottesca. La vicenda era talmente comica che a Teheran, quando una cosa era considerata bullshit, una cazzata senza importanza, era invalso l'uso di dire: «Come i missili di Saddam».

Bush (George W.): non è necessario vestire una scimmia, per vedere una scimmia vestita.

Tratto da "il ribelle dalla A alla Z", di Massimo Fini, edito da Marsilio.
(la sintesi e quindi il "montaggio" dei brani tratti dal libro, sono di mia unica scelta e responsabilità.)

Buddismo. Il buddismo, almeno quello delle origini, appare come un pensiero totalmente nichilista, forse il più compiutamente nichilista che sia stato elaborato. La vita, ogni vita, è comunque penosa, perché anche quella apparentemente più felice non può non soffrire l'angoscia della sua fine. Bisogna quindi spezzare la catena vita-morte-vita per arrivare a non rinascere più. In questo cammino l'uomo è solo, assolutamente solo, disperatamente solo. Nella concezione buddista, infatti, tutto è instabile, non è che un insieme di fenomeni, fisici, biologici e psichici, in perpetua trasformazione (Eraclito). Lo stesso universo non sfugge a questa legge: si produce lentamente, si stabilizza per qualche tempo, si distrugge in un gigantesco collasso su se stesso, per poi riprodursi ancora e riprendere il ciclo, eternamente (l'«eterno ritorno» di Nietzsche, teoria del Big Bang).
A parte questo eterno andare del tempo, infinito quanto lo spazio, non c'è nulla di costante, di fisso, di immutabile cui poter far riferimento, nulla di analogo a quello che per gli occidentali è Dio o l'anima, per gli indù il «sé», per gli jaina «il principio universale». Inutile rivolgersi agli Dei, che pur esistono, perché anch'essi, benché godano di alcuni privilegi, sono sottoposti all'inesorabile legge dell'instabilità, anch'essi muoiono e rinascono, magari in qualche categoria inferiore, umana o animale o d'altro tipo.
Il buddismo è una religione senza Dio, senz'anima e senza culto che fa appello alla ragione e non alla fede. Che cos'è che tiene attaccato l'uomo alla catena infinita delle rinascite? Proprio il suo amore per la vita e i suoi piaceri che peraltro è anche la fonte del suo soffrire. Dovrà quindi distaccarsi gradualmente dalla vita e arrivare all'impassibilità e all'inazione assoluta.
Quindi per portarsi avanti, diciamo così, sulla «via della salvezza» (màrga), oltre che abbandonare tutte le passioni, le brame, le ambizioni, le gioie e i vizi della vita, bisogna prima praticare le «otto virtù» e perciò anche le buone azioni che seminano i germi per trovarci a uno stadio più elevato nelle esistenze successive e non dover partire da zero. Per non compiere cattive azioni però non basta non attuarle, bisogna anche non volerle e nemmeno desiderarle, perché per il buddismo la volizione è già un'azione che porta con sé tutte le conseguenze come se l'intenzione fosse stata effettivamente agita.
Per raggiungere questo stato di controllo totale, fisico e mentale, su se stesso il monaco buddista deve quindi sottoporsi a una severissima disciplina, con metodiche di vario tipo, molte delle quali sono vicine alle antiche tecniche dello yoga. La sua è soprattutto una lotta intcriore.
Fatto questo percorso, che impegna molte esistenze, non si è però alla fine. Ci sono ancora quattro livelli da superare sulla «via della salvezza». Nel primo, quello dell'«Entrata nella corrente» (srotaapanna), il monaco, lasciatosi alle spalle tutti gli errori e i dubbi, raggiunge la certezza che non rinascerà più di sette volte. Col secondo, detto «Unico ritorno» (sakrdagamin), che corrisponde a una purificazione e a un distacco ancora
maggiori (soprattutto dai sensi, che sono l'eterno problema di ogni religione, pensiero o aspirazione ascetica), si rinascerà una volta sola fra gli uomini. Col terzo, «Senza ritorno» (anàgd-min), non si rinascerà più in un corpo umano, ma in uno divino e per una sola volta. Col quarto si entra in una condizione di estasi e di imperturbabilità assoluta (nirvana}. Si potrà vivere ancora molto a lungo ma alla morte si avrà la certezza dell'Estinzione completa (paranirvànà) e ci si scioglierà finalmente nel Nulla.
Per l'uomo occidentale la faccenda è più semplice. Per raggiungere il Nulla gli basta morire una volta sola.

Bullshit. La storia delle «armi di distruzione di massa» di Saddam Hussein, da cui gli americani presero l'avvio e il pretesto per attaccare l'Iraq, oltre che vergognosa è grottesca. Perché, anche qualora Saddam avesse conservato quelle armi, che proprio gli americani (insieme ai francesi e, via Germania Est, ai sovietici) gli avevano fornito, a partire dal 1985, perché le usasse contro i soldati iraniani, non era in grado di colpire alcun Paese occidentale, Israele compreso, e nemmeno i suoi vicini.
Nel 1987 Saddam, che stava perdendo la guerra con l'Iran sul terreno, decise di ricorrere ai missili a lunga gittata che fino ad allora non aveva osato utilizzare nel timore che il nemico facesse lo stesso, magari centrandolo in qualche suo palazzo. Era la mossa della disperazione. L'obiettivo era naturalmente Teheran, la capitale, dove viveva l'odiato Khomeini. Sui giornali, anche europei e americani, si parlava di «guerra dei missili». In quei giorni mi trovavo a Teheran per seguire le vicende della guerra e quella storia dei missili mi preoccupava non poco. Ma preoccupava ovviamente anche gli abitanti di Teheran, perché i musulmani, pur avendo con la morte un rapporto molto diverso dal nostro, sono uomini e hanno paura, come tutti.
Si aspettava quindi con una certa apprensione l'arrivo di questi missili di Saddam. I primi due caddero nel deserto a una cinquantina di chilometri da Teheran, il terzo si avvicinò un po' di più, il quarto centrò finalmente la città. E sbrecciò un muro. Quei missili infatti, come quelli che Gheddafi cercò di lanciare su Lampedusa, non avevano la portata sufficiente per coprire la distanza fra le basi irachene e la capitale iraniana. Gli artificieri avevano quindi dovuto aumentare il propellente, ma contemporaneamente diminuire la carica esplosiva. Per cui ciò che arrivava era poco più di un grosso petardo.
La vicenda era talmente comica che a Teheran, quando una cosa era considerata bullshit, una cazzata senza importanza, era invalso l'uso di dire: «Come i missili di Saddam».

Bush (George W.). Non è necessario vestire una scimmia, per vedere una scimmia vestita.

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